Arab Society in Revolt. The West's Mediterranean Challenge
Ricchi e cristiani al centro, poveri e sunniti in periferia: così sono divise le città della Siria, dove da 18 mesi cresce l’insurrezione e dalla primavera infuriano vere e proprie battaglie. Le forze del regime del presidente Assad cercano di schiantare la ribellione, mentre gli insorti, cui spesso si mescolano elementi estranei alla realtà siriana, non cedono. Eppure l'Occidente resta a guardare, tra sensi di colpa e accuse di disinteresse, con la foglia di fico dell’opposizione russa e cinese a qualsiasi forma d’intervento militare. Non c è, in effetti, nessuna azione concreta sul campo, a parte qualche misura umanitaria, e non c’è l’intenzione di farsi coinvolgere in un conflitto dalla durata imprevedibile, com’è stato in Libia, in uno contesto, per di più, estremamente delicato per tutto il Medio Oriente.
Secondo Cesare Merlini, ricercatore presso la Brookings Institution di Washington e presidente del Comitato dei garanti dell'Istituto Affari Internazionali, quelle della Siria “sono rivolte endogene, che hanno subito le influenze esterne: l' Occidente, che comunque non sarebbe in grado di intervenire, per via della crisi politico-economica in Ue e delle elezioni presidenziali in Usa, non avrebbe molte possibilità di incidere sui risultati finali”.
Arab society in revolt approfondisce propriolo stallo siriano, inserendolo nella visione più generale delle Primavere arabe, di cui analizza cause e conseguenze: il volume, scritto dallo stesso Merlini e da Oliver Roy, professore presso lo European University Institute di Firenze e direttore di ricerca al CNRS di Parigi, è stato presentato a Roma con la collaborazione dello IAI.
Illustrando il lavoro fatto, il professor Merlini ha sottolineato quanto l’evoluzione delle società, innescato da religione, emigrazione, imprenditorialità, ruolo delle donne e telecomunicazioni, abbia ridotto le distanze tra il mondo arabo-islamico e quello occidentale. A corroborare questa osservazione è intervenuta la professoressa Francesca Maria Corrao, secondo la quale “i nuovi media hanno cambiato la cultura: aprono finestre su una realtà più complessa rispetto a quella fornita dalle tv ordinarie. Al Jazeera, educando la gente a discutere, ha minato i poteri di Ben Ali, Mubarak, Gheddafi e Assad”. Il professor Roy ha messo l’accento sui protagonisti delle rivoluzioni arabe: “E’ una nuova generazione diversa dalla precedente, senza legami forti con i vecchi paesi colonizzatori: sono giovani aperti e colti. Sono ragazzi, maschi e femmine, che vanno all’università. Sono i fattori di modernizzazione della società che loro stessi hanno sovvertito. Sono il nuovo elettorato che vuole una democrazia che garantisca stabilità e non violenza”.
Ma, emerge nell’introduzione del libro, che “la rivolta non è instaurazione di democrazia e che il ruolo degli attori esterni è fondamentale”, come rileva il senatore Giuliano Amato. La vera sfida per l’Occidente sta nel capire i cambiamenti interni alla società araba per concepire ragionamenti – e magari interventi – più sottili e concreti ed efficaci. Per la Corrao, “Arab society in revolt rappresenta proprio il bisogno di guardare oltre la cronaca, per osservare gli eventi da un altro punto di vista”.
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