Come rispondere alla Crisi in Libia
Il responsabile di ricerca Riccardo Alcaro ha moderato la conferenza sulla crisi libica che ha avuto come ospiti Karim Mezran, membro senior del Rafik Hariri Center for the Middle East dell'Atlantic Council di Washington, e Roberto Aliboni, consigliere scientifico dell’IAI.
Mezran ha presentato nel suo intervento le due ragioni meno remote per spiegare la crisi libica:
1. il fraintendimento sullo scontro, per il fatto che è stato interpretato come una rivoluzione quando si è trattato invece di una guerra civile, e perché è stato ignorato che Gheddafi era seguito da una parte rilevante della popolazione;
2. l'aver mandato via gli alleati occidentali dopo aver destituito Gheddafi: l'aiuto della NATO sarebbe stato fondamentale per la ricostruzione. Inoltre Mezran ha elencato cosa manca nazionalmente e internazionalmente per risolvere la crisi: ovvero una parte neutrale nel conflitto, l’inclusione dei libici ex gheddafiani in esilio, l'applicazione delle sanzioni dell’ONU al livello di milizie e un parlamento nazionale legittimato.
Aliboni ha invece incentrato il suo commento sul contesto internazionale e sulla posizione dell’Occidente, che formalmente è schierato con Misurata. Tuttavia, spiega Aliboni, se prevarrà l'urgenza di combattere l'ISIS e se quindi non si appoggia la mediazione, l'Occidente sarà fatalmente attratto a Tobruk. La sfida attuale è quella di trovare un governo di unità nazionale che punti a combattere l'ISIS e altri estremisti. Per quanto riguarda il resto della regione, in Arabia Saudita è diminuito l’interesse verso la Libia perché il nuovo re Salman ha cambiato la prospettiva verso l'Iran; l'interesse per la questione è invece accresciuto in Egitto, che si è impegnato in varie delle battaglie che hanno colpito la regione (come ad esempio in Yemen o in Siria). Da parte dell’Occidente occorre convincere l’Egitto che il partito migliore è il sostegno a un governo di unità nazionale libico per combattere gli estremisti.