Elezioni americane di mid-term: risultati e analisi
La disfatta del Partito Democratico alle elezioni statunitensi di medio termine fa presagire una fine di mandato intrisa di difficoltà per il presidente Barack Obama: con questo timore a fare da sfondo, il dibattito “Le elezioni statunitensi di medio termine: risultati e analisi”, promosso dal Centro Studi Americani con la collaborazione dell’Istituto Aspen e dello IAI giovedì 6 novembre, ha fatto il punto sull’impatto dei risultati elettorali.
Ad aprire l’incontro, Valentina Pasquali, giornalista freelance da Washington, che ha illustrato i dati più significativi: i repubblicani potranno contare su almeno 52 senatori su 100 e su 249 seggi alla Camera contro i 186 dei democratici, disponendo per la prima volta dal 2006 della maggioranza in entrambi i rami del Congresso. La Pasquali ha per contro rilevato il successo di alcuni referendum su temi ‘liberal’, come l’innalzamento del salario minimo statale, anche in Stati tradizionalmente conservatori: un fattore controtendenza, rispetto al voto politico.
Bill Schneider, professore della George Mason University, uno dei più noti politologi Usa, giudica plausibile un compromesso tra i repubblicani e il presidente, poiché – spiega – i conservatori vincitori sono quelli più moderati e inclini al dialogo, mentre il Tea Party è in fase di arretramento. E se la vittoria di Mid-term ha ricompattato le file repubblicane, la partita presidenziale 2016 resta ancora tutta da giocare: il GOP non ha per ora un candidato convincente alla Casa Bianca.
La politica estera sarà il terreno di massima convergenza tra i due schieramenti – aggiunge Schneider – poiché, oltre alle sfide del terrorismo islamico, Obama vuole portare avanti il processo di realizzazione del Ttip, il Trattato di libero scambio tra l’Ue e gli Usa.
Massimo Teodori, americanista, membro del consiglio direttivo del Centro Studi Americani, ha ricordato come ‘l’anatra zoppa’ di questa fine mandato non è figura inconsueta nella politica statunitense: l’elettore americano vota contro ogni possibile ‘accentramento dei poteri’, quasi timoroso di avere un Congresso dello stesso colore del presidente. Ed ha elogiato Obama come “il primo presidente da oltre 80 anni che non ha portato le truppe americane a combattere all’estero”.
Marta Dassù, ex sotto-segretario agli Esteri, direttrice di Aspenia, osserva che Obama “ha deluso alcune delle aspettative in lui riposte, ad esempio non ha saputo condurre in porto la legge sull’immigrazione molto attesa dagli ispanici”. Il voto di Mid-term è stata una “rivincita dell’elettore bianco di ceto medio”, ha aggiunto la Dassù. “Obama potrà essere ancora ricordato come un presidente che ha saputo dare al suo partito un’ideologia unificante, tramite la realizzazione di riforme federali ambiziose”, come quella sanitaria.
Sergio Fabbrini, direttore della Luiss School of Government, evidenzia fattori che hanno strutturalmente cambiato le elezioni statunitensi negli ultimi venti anni: collegi elettorali più omogenei hanno permesso ai repubblicani di imporsi più facilmente negli Stati più piccoli. Inoltre, Fabbrini rileva una polarizzazione della classe politica americana, favorita dai finanziamenti ai partiti che hanno portato alla radicalizzazione della competizione elettorale, come ha dimostrato l’ultima campagna.