Il voto in Germania e l'eurocrisi
Con l’avvicinarsi delle elezioni politiche tedesche del 22 settembre cresce sempre più l’apprensione degli altri Paesi europei sui futuri orientamenti della Germania. Non sembrano esserci alternative alla politica d’austerità sostenuta dalla cancelliera Angela Merkel, che è in vantaggio nei sondaggi, ma preoccupa la crescita di movimenti anti-europeisti. Il rafforzamento dei socialdemocratici potrebbe sfociare in una grande coalizione tra il partito cristiano-democratico (CDU) e cristiano-sociale (CSU) e quello social-democratico (SDP) oppure – ma è un’ipotesi meno probabile- in un’alleanza SPD / Verdi.
Come spiegare la popolarità della Merkel in Germania?, quali sono i punti controversi delle sue scelte politiche?, che impatto avranno le elezioni politiche tedesche sull’Ue? Queste sono le questioni discusse durante il convegno “Il voto in Germania e l’eurocrisi. Le elezioni che possono cambiare l’Europa.”, organizzato dallo IAI il 3 luglio, a Palazzo Rondinini, a Roma. Esperti di Germania si sono confrontati sulle sfide poste dalle elezioni tedesche.
Ad animare il dibattito Michael Braun, corrispondente dall’italia di Die Tageszeitung (Taz), Veronica De Romanis, economista, autrice di Il caso Germania, Tobias Piller, corrispondente dall’Italia della Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), e GianEnrico Rusconi, professore di scienze politiche all’Università di Torino. Moderatore, Ettore Greco, direttore dello IAI.
Greco lancia il dibattito partendo dal titolo del numero di giugno del The Economist, che definisce la Germania in Europa un “egemone riluttante” e ne mette in rilievo la reticenza ad accettare il ruolo di leader dell’Ue.
Per Braun, le radici della crisi economica che l’Ue sta attraversando stanno nelle misure che sono state adottate durante il processo d’integrazione europea. L’approccio funzionalista è fallito, si sono creati una moneta comune e uno spazio economico comune, ma non una politica economica comune. Di fatto, i successi e gli insuccessi finanziari si misurano ancora a livello nazionale e non europeo. I Paesi europei anche al momento della creazione dell’euro presentavano grandi disparità, ma fino alla crisi del 2008 c’era l’illusione che la convergenza delle economie fosse possibile. Oggi, non si può più pensare di correggere le asimmetrie economiche con i programmi di adattamento disponibili, prendendo la Germania come modello: bisogna creare un euro sostenibile per tutte le componenti dell’Ue.
Rusconi ribatte a The Economist: “La Germania non è un egemone riluttante, ma nervoso, inquieto e irritato”. La Germania era riuscita a fare coesistere sovranità nazionale e sovranità europea costruendo le regole dell’Ue insieme agli altri paesi e posizionandosi come locomotiva, non solo economica, dell’Unione. Ora, questa costruzione non basta più e la Germania si sente tradita dai partner europei che non hanno rispettato le regole e che chiedono riforme in contraddizione con la lettera, se non con lo spirito, dei Trattati. Alle elezione la scelta sarà secca: o la Germania seguirà la linea degli anti-europeisti e si ritroverà sola; o ridarà la vittoria alla cancelliera e si orienterà verso un’Europa federalista.
Per la De Romanis, la politica dei piccoli passi della signora Merkel ha funzionato. Dieci anni or sono, la Germania era “il paese malato d’Europa”, ma con le riforme strutturali e il consolidamento fiscale intrapresi da Gerhard Schroeder, il Paese ha saputo riprendersi. Il pragmatismo e la lentezza nel prendere decisioni della Germania sono stati criticati soprattutto quand’è esploso il caso Grecia, ma senza l’aiuto dell’Fmi chiesto dalla Merkel e il programma di aggiustamento fatto di tagli alla spesa, aumenti della pressione fiscale e riforme strutturali, Atene non si sarebbe salvata. Adesso, non si parla più di “Grexit”; e pure l’Irlanda che ha seguito il modello tedesco, torna a respirare di nuovo.
A concludere il dibattito è Piller che difende le politiche di austerity volute dalla Germania, e dice che è inutile rivedere i Trattati quando quelli esistenti non vengono rispettati. Per i tedeschi, la crisi è la perdita di quote commerciali nel mercato globale. Non serve incoraggiare la domanda con una politica keynesiana, perché i paesi europei non sono più competitivi e i consumi andrebbero a vantaggio di prodotti cinesi o coreani, ma non europei. Per uscire dalla crisi, bisogna ritrovare competitività: servono riforme strutturali e tagli a livello nazionale.
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