L'Italia in un mondo che cambia. Suggerimenti per la politica estera italiana
L’America non è così lontana, come non lo sono le borse di Francoforte o delle altre piazze europee. E non lo è neanche il Medio Oriente, anzi, quello è il più vicino, geograficamente, a una parte dell’Italia. E così, nel mondo globalizzato dei tempi nostri, il presidente americano, quale che sia, dopo l’Election Day del 6 novembre, conterà anche per l’Italia, come contano ogni giorno i sobbalzi dei mercati scossi dalla crisi economico-finanziaria, i morti delle rivolte siriane e le manifestazioni degli islamici che protestano contro le vignette satiriche che offendono il loro profeta. “Puoi anche non curarti della politica internazionale. Sarà comunque lei a scovarti e ad occuparsi di te”, notava Angelo Panebianco sul Corriere della Sera tempo fa.
Prima che l’Italia si scopra vittima di una politica estera trascurata e che il paradosso di Panebianco si avveri, tre fra i principali istituti italiani che si occupano di relazioni internazionali si sono riuniti per produrre uno studio che indichi un tracciato che la politica estera italiana potrebbe percorrere. “L’Italia in un mondo che cambia” è il titolo del documento redatto dall’Istituto Affari Internazionali (IAI), dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e da Nomisma, presentato a Roma alla presenza del ministro degli Esteri Giulio Terzi.
Alla domanda di Franco Venturini, editorialista del Corriere della Sera e moderatore del dibattito, che chiedeva se esiste uno stato che può parlare per l’Europa, il ministro ha risposto che “ciascun paese deve parlare per l’Europa” e che “l’Italia ha tutte le carte in regola per farlo”. Il nostro paese, ha proseguito il ministro, “deve puntare al coalition building”, alla capacità, cioè, di farsi ascoltare dagli altri Stati per “dotare l’Europa di una strategia globale”. Secondo Terzi, l’integrazione deve realizzarsi tanto a livello politico quanto economico: “Tale prospettiva conferirebbe all’Italia influenza e potere nel mondo globalizzato. Sicurezza e crescita sono i due temi fondamentali per definire l’Italia e l’Europa che vorremmo”.
“Lo studio contiene suggerimenti utili per l’azione di governo e arriva in un momento critico, in cui è fondamentale interrogarsi sul futuro dell’Europa e dell’Italia”, ha affermato il ministro. E Stefano Silvestri, presidente dello IAI, ha spiegato che il rapporto, partito da un’iniziativa dell’ufficio studi di Finmeccanica, poggia sull’assioma del mutamento: “siamo di fronte a un progressivo spostamento dei fattori di potenza da Stati Uniti ed Europa verso i paesi emergenti. L’elemento determinante è la capacità delle istituzioni internazionali di governare questo mutamento e per questo l’Italia deve rilanciare e rafforzare il processo di integrazione europea”. Secondo Sebastiano Maffettone, professore di filosofia politica alla Luiss Guido Carli di Roma, l’Europa deve essere “più sottile ma più forte” perché, “se è vero che non esiste un mondo cosmopolita e che non può esistere un mondo di singoli stati, l’unica possibilità è quella di un mondo di regioni organizzate”.
Come osservato più volte dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per arrivare ad un Europa più forte e coesa è necessario superare le politiche nazionali perché, ha rilevato Giuseppe Cucchi, coordinatore scientifico di Nomisma, “le scelte interne e quelle internazionali sono sempre più intrecciate”. Della stessa idea si è mostrato anche Vincenzo Camporini, vicepresidente dello IAI, secondo il quale spetterebbe al mondo politico e ai media “convincere l’opinione pubblica della fusione tra politica estera e interna”.
Ma i tre assi su cui si è mossa la politica estera finora – quello americano, quello europeo e quello mediterraneo – vanno riconsiderati “per trovare un programma bipartisan sulla linea da seguire in campo internazionale”, ha sottolineato Lapo Pistelli, deputato del Partito Democratico. L’Europa deve tornare a dare contributi forti su ognuno di questi scenari per essere nuovamente considerata dagli Stati Uniti – né Romney né Obama hanno fatto riferimenti importanti alla questione europea nelle loro campagne elettorali. Secondo Terzi ,c’è in particolar modo “una necessità di mantenere la rotta nel rafforzamento dei rapporti col Medio Oriente”, specie alla luce degli ottimi risultati raggiunti nei recenti incontri a Roma con il presidente egiziano Mohamed Morsi.
Franco Bruni, vicepresidente e direttore scientifico dell’Ispi, ha messo l’accento sugli aspetti economici della politica estera, pure evidenziati dal ministro Terzi, che ha confessato di aver dato alla Farnesina un carattere economico più forte per aumentare la competitività dell’Italia. “Il fondo salva Stati è nato con una debolezza di fondo data dalla sua condizionalità”, ha osservato Bruni. La diplomazia italiana ha fatto sì che fosse più leggera nei confronti dei paesi “che hanno svolto i compiti a casa”, ha aggiunto. E di economia ha parlato anche Alessandro Pansa, direttore generale di Finmeccanica, secondo il quale “la tutela delle imprese italiane all’estero” e “l’incentivo all’investimento in Italia alle imprese straniere” possono essere uno stimolo per la politica estera.
Obiettivo dello studio di IAI, ISPI e Nomisma è di accrescere la consapevolezza in tutta la classe politica sulle questioni di politica estera. “Oggi”, ha osservato l’ambasciatore Giancarlo Aragona, presidente dell’Ispi, “l’Italia deve salvaguardare la sua influenza sull’Europa” perché essa è “un moltiplicatore di influenza nazionale”. E Venturini ha alzato la barra: “Non si può lasciare pensare che in Europa, nel Mondo, possa farsi qualcosa senza l’Italia”.
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Pubblicazione18/01/2015
L'Italia in un mondo che cambia
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