Promoting peace and security in Africa. Lessons learned from Mozambique
Nel 1992 in Angola si tennero le prime elezioni democratiche dopo oltre dieci anni di guerra civile, ma l'Unione nazionale per l'indipendenza totale dell'Angola (UNITA) non accettò l'esito elettorale e il Paese ripiombò in una guerra civile che per anni proseguì a singhiozzo. Le vicende di questo tipo, che riempiono le pagine della storia africana, sembrano non dare alcuna speranza al continente. Eppure, esiste uno stato che può fare lezioni di stabilità e sicurezza in Africa: nel 1992 il Mozambico ha firmato un accordo di pace che resiste fino ad oggi.
Il trattato è stato firmato a Roma, con la mediazione del Governo italiano e della comunità di Sant'Egidio. Per celebrare i vent'anni di pace, l'Istituto Affari Internazionali e il Ministero degli Affari esteri hanno organizzato il 17 ottobre un evento alla Farnesina, intitolato "Promuovere la pace e la sicurezza in Africa. La lezione imparata dal Mozambico", nella stessa sala in cui fu siglata l'intesa.
"Nel 1992 il Mozambico era in crisi", ha affermato il Ministro degli esteri Giulio Terzi di Sant'Agata. "Oggi è sullo stesso livello dell'Italia, ha risorse naturali e un'economia in crescita. L'Italia non si è limitata a collaborare al processo di pace, ma ha operato per la stabilizzazione e lo sviluppo del Mozambico che oggi, grazie anche ai giacimenti di gas scoperti dall'Eni, resta uno dei nostri maggiori partner", ha continuato il Ministro.
Dello stesso avviso si è mostrato anche il Ministro degli esteri e della cooperazione internazionale mozambicano, Oldemiro Baloi che, nel ringraziare l'Italia per il suo contributo alla pace nel paese, ha aggiunto: "Negli ultimi cinque anni il Mozambico è cresciuto, ha varato riforme economiche ed ha raggiunto la stabilità: questo ci incoraggia a proseguire sulla stessa strada, ma il nostro equilibrio è legato a quello dell'intero continente africano". E il Ministro Terzi ha notato come "il processo di integrazione europea possa fungere da modello per un uguale processo in Africa, dove l'Unione Africana resta già un valido esempio".
Scendendo nei particolari più tecnici, Aldo Ajello, rappresentante speciale dell'Onu in Mozambico tra il 1992 e il 1994, ha evidenziato i punti di forza del trattato a cui ispirarsi per occasioni future: tra questi spiccano la prevalenza dell'accordo su tutta la legislazione esistente e l'eccezionale potere di iniziativa dell'Onu. E ricordando il ruolo della comunità di Sant'Egidio nei processi di pace, il suo presidente, Marco Impagliazzo, ha puntualizzato che "l'accordo era ben fatto e quindi la tregua ha tenuto. Questo significa che, creando le giuste garanzie per il futuro, è sempre possibile realizzare la pace".
Queste considerazioni sono state riprese pure da Raul Domingos, esponente della delegazione Renamo – Resistenza nazionale mozambicana, partito conservatore del paese, ora all'opposizione – che però ha precisato: "Il 4 ottobre celebriamo la fine della guerra, ma non l'inizio di una vera pace: mancano ancora le libertà e i diritti fondamentali. Il futuro della pace dipende dall'istruzione e dalla riforma del servizio pubblico che deve essere neutrale e imparziale". E a proposito di riforme, la professoressa di storia e istituzioni dell'Africa sub-sahariana dell'Università di Bologna, Anna Maria Gentili, ha rilevato che "gli attuali problemi di sicurezza sono dati da una crescente disuguaglianza che si può risolvere solo con adeguate misure e politiche di equità".
In risposta alle provocazioni, l'esponente della Frelimo – Fronte di liberazione del mozambico, partito di matrice socialista, ora al potere –, il primo Ministro Teodato Hunguana si è limitato a ricordare gli sforzi della sua fazione per mantenere una continuità tra la costituzione esistente e i processi di pace e a sottolineare che "le elezioni sono state vinte stando alle nuove regole e adattandosi al moderno contesto di sicurezza e stabilità".
Il professore di storia contemporanea, Roberto Morozzo della Rocca, dell'Università Roma tre, ha evidenziato l'importanza dell'amnistia per le due parti belligeranti: "Se si fosse fatto ricorso alla giurisdizione internazionale, la pace non sarebbe stata possibile". Morozzo della Rocca ha poi riconosciuto la sinergia tra tutti gli Stati e le organizzazioni che hanno partecipato al processo di pace, ma Monsignore Matteo Zuppi, della Comunità di Sant'Egidio, ha chiarito: "La pace è stata un vero e proprio incontro tra mozambicani. Il dialogo è stato fra loro stessi, l'Italia in questo ha avuto un'influenza minima".
Lo stesso concetto è stato ribadito da Mario Raffaelli, presidente dell'Amref, che ha affermato: "Non c'è miracolo che i mediatori possano fare se non matura fra le parti la consapevolezza di poter esprimere le proprie idee con le armi della critica e non con la critica delle armi". Ed è proprio la mediazione, secondo la Gentili, a creare l'imprescindibile dialogo con la società civile. A questo proposito, lo IAI e la Feps hanno prodotto uno studio sul ruolo degli attori non statali nelle relazioni fra Africa e Unione europea e nella costruzione dei processi di pace. Nicoletta Pirozzi, ricercatrice dello IAI, ha osservato: "Il Mozambico mostra quanto la cooperazione tra attori istituzionali e non governativi possa portare risultati di successo e per questo bisogna imparare a coinvolgere le Ong negli interventi di pace".
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Pubblicazione09/02/2014
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