Il ruolo della Germania in Europa
La Europäische Akademie Berlin (Accademia Europea di Berlino) e l’Istituto Affari Internazionali di Roma hanno organizzato un seminario su "Il ruolo della Germania in Europa". Durante l’evento sono intervenuti, tra gli altri, il ministro tedesco per gli Affari europei Michael Roth, il giudice della Corte costituzionale tedesca Peter M. Huber, e il responsabile della comunicazione della Bundesbank Michael Best. Hanno moderato le sessioni il direttore dell’Accademia Europea di Berlino Eckart Stratenschulte, il vice presidente IAI Gianni Bonvicini, il professore della Luiss Gianluigi Tosato e l’editorialista de ‘Il Sole 24 Ore’ Dino Pesole.
Nella sessione dedicata alla definizione della politica europea della Germania, Gianni Bonvicini ha introdotto l’argomento affermando che, sul piano dell’integrazione europea, la Germania è passata da un ruolo di leader riluttante a paese fondamentale nel processo. La funzione centrale è stata assunta non solo a livello di patti finanziari, ma anche nel settore della politica estera e di sicurezza europea.
Il ministro Roth ha analizzato durante la sua presentazione la posizione e le percezioni del Paese: specificando che la Germania è solo uno dei 28 partner e che ‘l’Europa è un gioco di squadra’, Roth ha ribadito che con piena correttezza l’Ue ha sempre trattato la Germania alla pari. Il Paese non è infatti egemone; anzi, per la posizione geografica, è, o almeno è stato, molto vulnerabile.
Le maggiori sfide del momento per l’Unione sono state individuate nella disoccupazione giovanile, crisi economica e problemi di sicurezza; tali questioni hanno bisogno di una maggiore assunzione di responsabilità da parte degli Stati membri e di coordinamento a livello europeo. Se si dice no a più responsabilità, sostiene il ministro, si è incompatibili con il concetto sociale europeo: l’Europa si basa, infatti, su pluralità e multiculturalismo.
Per quanto riguarda la disoccupazione, ad esempio, il problema non è limitato alla Grecia o alla Croazia, ma è una questione pan-europea. A tal proposito, sono stati messi a disposizione fondi europei, dei quali solo una minima parte viene richiesta e utilizzata. Il ministro ha commentato anche la questione greca, dicendo che non basta analizzare i recenti avvenimenti, visto che la fiducia è scemata: ora ci si aspettano successi graduali e dimostrabili, con un programma politico che deve essere integrato con pacchetti d’investimenti. Infine, riguardo alle sfide di sicurezza, che hanno di conseguenza causato l’emergenza immigrazione, la Germania è pronta ad assumersi le sue responsabilità: cinque Stati dell’Unione, fra cui Germania e Italia, accolgono infatti l’80% dei migranti. Germania e Italia devono quindi collaborare da vicino, soprattutto in fatto di politica estera e di sicurezza.
Il professore del dipartimento di Giurisprudenza Luiss Gianluigi Tosato ha moderato la sessione che ha trattato il ruolo della Corte costituzionale tedesca, affermando innanzitutto che la Corte non merita la qualifica di essere poco ‘Europe-friendly’, date le varie sentenze pro-europee. In particolare, con la sentenza Solange II, la Corte costituzionale ha infatti affermato la rinuncia a fare valere le sue prerogative in caso di equivalenza europea; e con la sentenza Honeywell la Corte ha manifestato la disponibilità a una ‘Fehlertoleranz’ (tolleranza ai guasti).
Il giudice della Corte costituzionale Peter Huber ha affermato il ruolo di ‘scudo della democrazia’ della Corte: questa ha infatti il compito di far valere il diritto e la legge fondamentale. Per questo, non può configurarsi né come euroscettica né come filoeuropea, poiché non deve attuare un’agenda politica. Il giudice sostiene inoltre che si deve tenere in considerazione che la Corte si basa sulla sovranità degli Stati membri: questi sono infatti i padroni dei trattati - l’Ue non è uno stato federale ma poggia sui trattati che gli Stati membri hanno varato. Nelle costituzioni degli Stati membri viene garantita la sovranità dello Stato. Esistono quindi due percorsi non del tutto armonizzabili: il primo dall’alto verso il basso, cioè quello delle istituzioni europee (Commissione europea, Corte di Giustizia europea, etc); e il secondo dal basso verso l’altro (nell’ottica degli Stati membri).
Il seminario ha anche trattato della politica economica tedesca, con l’intervento di Jens Klose, membro del Comitato di consulenti economici del Governo tedesco. L’ospite ha specificato che l’organizzazione è un ‘Council of experts’ che è parte del governo, ma valuta indipendentemente la politica economica del governo federale. L’organizzazione redige ogni anno un rapporto che viene presentato al capo del governo, in cui si analizzano politiche economiche, europee, di energia, il mercato finanziario e le sicurezze sociali.
Per quanto riguarda il tasso di crescita del Pil, Klose ha affermato che già nel 2011 la Germania aveva raggiunto un livello di crescita pre-crisi e che oggi ha un tasso stabile di 1,8-2%; questo può sembrare alto se paragonato ad altri Paesi europei, ma se si guarda oltre l’Europa, è una crescita debole. L’ospite ha in seguito commentato il mercato del lavoro tedesco, che rappresenta “la storia di successo” del Paese. Tramite riforme del mercato pensionistico, con la soglia dell’età pensionabile stabilita a 67 anni, la Germania si tutela dalla stasi demografica e dall’invecchiamento della popolazione.
Infine, il responsabile della comunicazione della Bundesbank Michael Best è intervenuto sul futuro dell’Unione monetaria. Per affrontare le questioni attuali, sostiene Best, bisogna rifarsi alle decisioni del Consiglio europeo prese 25 anni fa. Quando si discusse inizialmente l’adozione di una moneta comune per promuovere i rapporti economici fra i Paesi, si avevano due possibilità per garantire la politica economica: da una parte, si poteva limitare la sovranità nazionale e instaurare un controllo congiunto; oppure, si poteva esercitare il controllo tramite il principio di responsabilità individuale. Optando per il secondo meccanismo, si è scelto di lasciare agli Stati membri la loro sovranità, con la conseguente assunzione della responsabilità delle decisioni. La cessione dei diritti non si sarebbe, infatti, raggiunta: tuttora i parlamenti nazionali hanno sovranità su politiche fiscali, di bilancio, pensioni, pubblica amministrazione, e sulla regolamentazione del mercato del lavoro.
Oggi ci si ritrova di fronte alla questione fondamentale: bisogna attuare un trasferimento della politica economica e finanziaria a livello europeo o mantenere il quadro normativo della responsabilità individuale? Un’Unione politica potrebbe solidificare la politica monetaria, ma i governi non sono disposti a modificare le proprie costituzioni per trasformare l’Unione. Le conseguenze sono che senza un’Unione fiscale e senza rinuncia alla sovranità, non ci può essere responsabilità comune: responsabilità e controllo sono incentivi.
La via per uscire dalla crisi è dunque quella del consolidamento del quadro normativo definito dal trattato europeo. Inoltre, ha specificato Best, le banche centrali non sono gli unici giocatori in campo: l’Unione monetaria può resistere a lungo termine solo se ogni singolo stato garantisce da solo i presupposti della sua partecipazione. Per quanto riguarda la Grecia, l’ospite ha affermato che si è messa in discussione la partecipazione della Grecia al programma monetario perché il governo non ha attuato politiche di responsabilità comune: deve quindi modernizzare la propria struttura amministrativa sconfiggendo clientelismo e corruzione. Inoltre, poiché il pagamento degli interessi sarà dilazionato e il rimborso spalmato su decenni, il programma di aiuti rischia di violare i principi dell’Unione monetaria, se si tratta di trasferimento di denaro invece che di prestiti.
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