United States policy toward the Arab Spring: A struggle between ideals and self-interest
Gregory Aftandilian, Senior Fellow per il Medio Oriente presso il Center for National Policy di Washington DC, ha tenuto il 23 luglio allo IAI un seminario su “La politica statunitense verso la Primavera araba: una battaglia tra ideali e interessi nazionali”. Aftandilian ha iniziato il suo intervento parlando della dicotomia che esiste nella politica estera statunitense tra la retorica della difesa dei diritti umani e della democrazia, da una parte, e la tutela degli interessi strategici all’estero, dall’altra.
Aftandilian ha contrapposto le pietre miliari della politica di Bush in Medio Oriente con le priorità espresse da Obama a partire dal 2009. Dal confronto emerge che mentre Bush ha fortemente supportato la democratizzazione della regione, Obama ha promosso un approccio più pragmatico, cercando di coinvolgere i musulmani, far avanzare i colloqui di pace tra Israele e Palestina e affrontare la questione nucleare iraniana. Il suo discorso al Cairo del 2009 rivela, secondo lo studioso, il limitato interesse di Obama nei confronti del processo di democratizzazione rispetto ai suddetti obiettivi.
A seguire, Aftandilian ha esaminato l’evoluzione della politica degli Usa nei confronti della Primavera araba attraverso l’analisi di alcuni casi studio. Per quanto riguarda la Tunisia, si è sottolineato come l’assenza di interessi strategici americani abbia determinato un approccio distaccato nei confronti delle vicende che hanno investito il paese. Al contrario, quando il vento rivoluzionario è arrivato in Egitto, alleato chiave nella regione, gli Stati Uniti si sono schierati a sostegno della rivolta. Aftandilian ha discusso i fattori critici che hanno spinto gli Usa su questa strada: il fatto che i dimostranti appartenessero alla classe media, colta e laica, e si ispirassero a ideali democratici; il fatto che Mubarak non dimostrasse alcuna volontà di accettare un compromesso, rifiutandosi di attuare le riforme richieste dalla popolazione; la presenza dei militari e il ruolo da loro giocato nella storia egiziana, che ha consentito loro la supervisione del periodo di transizione; e le possibili conseguenze di un periodo prolungato di instabilità nel paese. Ancora, quando la Primavera araba è sbocciata in Bahrain, gli Stati Uniti hanno evitato di denunciare apertamente le repressioni del governo nei confronti dei dimostranti a causa dei forti interessi che essi detengono nell’isola e nella confinante Arabia Saudita, intervenuta militarmente a sostegno del piccolo emirato. Questo atteggiamento contrasta apertamente con la maggior parte delle dichiarazioni ufficiali espresse in difesa dei diritti umani e a favore della moderazione nel paese. Per quanto concerne la Libia e la Siria, Aftandilian ha illustrato l’approccio statunitense di ”guidare da dietro le quinte”, che ha fatto sì che essi abbiano lasciato che l’Europa prendesse il timone delle operazioni in Libia, e abbiano limitato il proprio intervento al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per quanto riguarda la Siria. L’approccio statunitense che emerge dai suddetti casi di studio è abbastanza coerente e vede una forte retorica a favore dei movimenti della Primavera araba, accompagnata da azioni concrete e mirate solo quando sono in gioco interessi nazionali strategici.
Alla presentazione di Aftandilian è seguito un dibattito vivace sulle reazioni di Israele alla Primavera araba; sull’Islam e l’Islamismo politico; sulla situazione peculiare dello Yemen; sul ruolo di Turchia e Lega Araba; sulle relazioni Usa-Russia in riferimento alla Siria; e sul ruolo dell’Arabia Saudita nel Consiglio di Cooperazione del Golfo.