The new American Administration and Transatlantic Relations: a renewed NATO?
Webinar organizzato congiuntamente da Aspen Institute Italia ed Istituto Affari Internazionali, in partnership con il Real Istituto Elcano ed il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo. L’evento ha coinvolto circa 100 partecipanti, tra cui otto speakers, ed ha visto la presentazione del paper "NATO towards 2030: a resilient Alliance and its main priorities".
L’arrivo di una nuova amministrazione a Washington offre l’occasione per un ripensamento ad ampio spettro degli impegni e degli strumenti che la NATO adotta per perseguire i suoi obiettivi. L’alleanza ha dimostrato notevoli capacità di adattamento, ma le molte sfide dei prossimi anni impongono un nuovo sforzo congiunto. Si dovrà comunque tenere conto di una tendenza di fondo della politica estera americana, che sembra a destinata a proseguire anche con l’amministrazione Biden: una progressiva riduzione degli impegni militari diretti sul terreno nel “grande Medio oriente”, con un possibile ridimensionamento dell’attivismo diplomatico a sostegno di un sistema internazionale a guida occidentale. I contorni di questo doppio binario non sono ancora precisi, e possono essere influenzati da eventi al momento imprevedibili, ma i fattori strutturali vanno in questa direzione generale, e avranno un impatto sulla postura della NATO nel suo complesso.
Il contesto strategico è per molti versi ambiguo: una competizione multipolare coinvolge varie “medie potenze” ambiziose e talvolta aggressive in specifici contesti regionali – soprattutto in aree prossime all’Europa, come il Medio oriente – mentre il livello globale è caratterizzato soprattutto dal crescente contrasto tra USA e Cina. Gli elementi multipolari potrebbero mascherare una serie di “vuoti di potere” e rivelarsi temporanei, mentre una vera struttura bipolare (che ricordi in parte quella della guerra fredda) stenta ancora ad affermarsi appieno nonostante la rapida crescita cinese in termini di capacità e influenza: questa situazione intermedia pone una sfida concettuale all’Alleanza, che tuttavia potrebbe rapidamente trasformarsi in una vera minaccia diretta in caso di crisi simultanee in Asia orientale e nel “vicinato” europeo. Gli alleati devono dunque prepararsi a contrastare un simile “worst case scenario”, e a gestire le loro legittime differenze di prospettiva e di priorità nell’interesse collettivo.
Sul versante europeo, in particolare, è necessario sviluppare una visione più complessiva e a medio-lungo termine dei rischi e delle possibili minacce, che non si limiti alle questioni economico-commerciali. Gli Stati Uniti, da parte loro, dovranno accettare un dialogo più sostanziale con gli alleati europei per sfruttare al meglio il vantaggio comparato di un’azione multilaterale e congiunta anche verso la Cina, oltre che verso un attore opportunistico come la Russia. L’Alleanza ha comunque un interesse, secondo alcuni osservatori, a tentare la strada di un compromesso limitato con Mosca – almeno su alcuni temi – per evitare un allineamento sistematico tra Cina e Russia che avrebbe ovviamente un notevole peso geopolitico nell’intera massa eurasiatica e un’influenza a volte decisiva sulle grandi organizzazioni multilaterali, a cominciare dall’ONU.
Su questo sfondo globale, il concetto di una maggiore “autonomia strategica” europea è ormai un obiettivo riconosciuto, ma solleva alcune obiezioni, in parte per la sua imprecisione e in parte per le sue implicazioni in termini di solidarietà transatlantica (che potrebbe risultarne danneggiata). In sostanza, la priorità dovrebbe essere, secondo la maggioranza dei partecipanti, sviluppare capacità operative o organizzative europee che possano essere utilizzate in vari formati: in alcuni casi ad hoc, per raggruppamenti limitati di Paesi; in altri casi in chiave UE, ove vi fosse un sufficiente consenso tra i suoi membri; in generale, come componente europea della NATO.
In ogni caso, è necessario un approccio pragmatico al problema, che inevitabilmente spingerà gli europei a focalizzare gli sforzi sulle capacità militari (in chiave di deterrenza e difesa, interventi mirati, sostegno a partner regionali, rapporti military to military) dispiegabili nella regione mediterranea e mediorientale: sarà questo il banco di prova principale per un ruolo europeo significativo. La complessità della regione necessiterà di un ampio ventaglio di strumenti, e non sarà affatto facile raggiungere un consenso su specifiche priorità e interessi, anche a fronte delle crescenti tensioni che si sono manifestate in particolare nel Mediterraneo orientale e che ruotano in parte attorno alla Turchia – dunque, un membro della NATO ma non della Ue.
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