La crisi dell’euro e il futuro dell’economia europea
Ocse: crisi euro, Padoan non esclude uno scenario ottimista
Crisi dell’euro: a che punto siamo? Per rispondere a questo interrogativo si è svolta a Roma la conferenza “La crisi dell’euro e il futuro dell’economia europea”. Il convegno, organizzato il 3 dicembre dall’Istituto Affari Internazionali e dal Centro studi sul federalismo, presso la sede di Banca Monte dei Paschi di Siena, ha permesso ai soci e amici dello IAI di confrontarsi con Pier Carlo Padoan, vice segretario generale e capo economista dell’Ocse, sulle prospettive di crescita dell’Italia e dell’Eurozona.
All’incontro, presieduto da Ettore Greco, direttore dello IAI, sono intervenuti Giorgio Gomel, capo del Servizio studi e relazioni internazionali della Banca d’Italia, Daniel Kraus, vice direttore generale di Confindustria, Alberto Majocchi, professore ordinario di Scienze delle finanze presso l’Università di Pavia (oltre che consigliere del Centro studi sul federalismo) e Marcello Messori, professore ordinario di Economia presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
“La crisi dell’euro rappresenta ancora il maggiore fattore di rischio per l’economia europea” ha affermato Padoan. Ma ci sono pure le preoccupazioni legate al ‘fiscal cliff’ negli Stati Uniti, la disoccupazione crescente nei paesi europei (il cui tasso, in linea con le recenti previsioni dell’Ocse, è in aumento) e la fase di transizione che stanno attraversando i paesi emergenti (Eme).
L’economia globale ha davanti a sé ancora molta strada per uscire dalla crisi. Il vice segretario Ocse ha elencato quelli che, secondo lui, sono i fattori che incidono maggiormente sui tempi della ripresa, rallentandola. Tra questi ci sono il deleveraging (ovvero la riduzione dell’indebitamento) nel settore privato, in ritardo nella zona euro, gli effetti negativi delle politiche del rigore e il rallentamento dei paesi emergenti, in parte riconducibile alle vicende dell’Eurozona. In particolare, l’inadeguatezza delle scelte di politica economica, negli Stati Uniti come in Europa, si traduce nell’insufficiente stato di fiducia delle imprese (la cui insicurezza le porta a rimandare gli investimenti) e dei consumatori.
Padoan non si è fermato all’analisi della situazione, ma ha delineato le fasi di un possibile processo di aggiustamento. Nel lungo termine saranno necessari sia delle riforme strutturali mirate a rafforzare la competitività e difendere le fasce deboli, sia una disciplina di bilancio più coerente con la crescita. Nel medio termine bisognerà correggere i differenziali di competitività misurati dai costi del lavoro unitari e provvedere al rilancio dei consumi (sulla falsariga di quanto sta già facendo la Germania, che, però, osserva Padoan, “può fare di più”).
Le sfide di breve termine sino le più ardue. I benefici delle riforme strutturali, infatti, richiedono tempo per materializzarsi, almeno alcuni anni: serve quindi un livello di fiducia sufficiente a sostenerle, magari rafforzato, a detta di Padoan, da un “appoggio esterno”.
Il capo economista dell’Ocse ha infine espresso la convinzione che uno scenario ottimista in Europa può risultare realistico. È credibile che nel 2015 il rapporto debito/Pil possa scendere, che le riforme strutturali possano per quella data produrre effetti visibili, che il rafforzamento dell’unione monetaria proceda più rapidamente e che negli Stati Uniti e nei paesi emergenti la ripresa sia più sostenuta. Perché tutto questo avvenga, però, sono necessarie scelte politiche appropriate.
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Ricerca06/01/2014
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