The Greek crisis and the Eurozone: a cure worse than the disease?
Per uscire dalla crisi, la Grecia ha bisogno di una “rivoluzione pacifica”. Lo sostiene Loukas Tsoukalis, professore di Integrazione europea all'Università di Atene e presidente della Hellenic Foundation for European and Foreign Policy. Tsoukalis è stato protagonista della conferenza dal titolo ‘The Greek Crisis and the Eurozone: A Cure Worse than the Disease?’, svoltasi il 6 febbraio a Roma presso la sede di Banca Monte dei Paschi di Siena.
L’incontro, organizzato dall’Istituto Affari Internazionali (Iai) e dal Centro Studi sul Federalismo (Csf), è stato un’occasione per fare il punto della crisi greca e della terapia europea e per discutere del tipo d’interventi di cui il Paese ha bisogno.
Alla conferenza, presieduta da Ettore Greco, direttore dello IAI, sono intervenuti Lorenzo Bini Smaghi, senior visiting fellow dell’Istituto e già membro del Comitato esecutivo della Bce, Fiorella Kostoris, professore ordinario di Economia politica presso l’Università La Sapienza di Roma, e Alberto Majocchi, professore ordinario di Scienza delle finanze presso l’Università di Pavia, oltre che consigliere del CSF.
Tsoukalis ha affermato che la Grecia è stato il “paese catalizzatore” che ha per primo ha contribuoti a trasformare la crisi finanziaria internazionale del 2008 in una crisi dell’eurozona. E ciò a causa della combinazione di tre deficit di cui il Paese soffre: quello di bilancio (nel 2009 era il 15,4% del Pil), quello delle partite correnti (anch’esso intorno al 15% nel 2008) e infine quello della credibilità (il Paese truccò –e di molto– i suoi conti per dare l’impressione di rispettare i parametri del Trattato di Maastricht e potere così entrare nell’euro).
I tagli e il rigore hanno mirato a correggere i tre deficit. Ma, per evitare che essi si riproducano in futuro, si punta su una serie di riforme strutturali riguardanti pensioni, lavoro, privatizzazioni, liberalizzazione, non disgiunte però da tagli alla spesa pubblica e da misure di austerità che hanno in realtà peggiorato la recessione del Paese.
L’inettitudine di gran parte della classe politica greca –è il giudizio di Tsoukalis–, l'incoerenza del sistema politico europeo e una strategia economico-finanziaria difettosa hanno fatto sì che la Grecia soffrisse molto più del previsto e del necessario. Questo ha portato a una parziale implosione del sistema politico, spingendo la società greca vicino al collasso e incoraggiando la nascita di movimenti estremisti e violenti. Dalla metà del 2012, la coalizione di governo uscita da due round di elezioni politiche ha accelerato l’attuazione del programma di riforme, ma –avverte il professore– il rischio di incidenti rimane elevato.
La Grecia ha perciò bisogno, secondo Tsoukalis, di una “rivoluzione pacifica e democratica”, che dia ai greci la consapevolezza necessaria ad accettare un programma di riforme di ampio respiro, che non può essere imposto dall’esterno. Inoltre la Grecia ha bisogno di tempo, denaro e di un ambiente esterno più propizio per la crescita. Tutto questo potrà venire dall’Europa solo nel contesto di un nuovo grande patto, che preveda un’Unione bancaria e fiscale, strumenti comuni per garantire la sostenibilità del debito e – non meno importante – un clima di fiducia tra i Paesi dell’euro.
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Ricerca06/01/2014
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