Global Outlook: presentazione del rapporto finale 2012
Non c’è solo la crisi. L’Unione europea ha problemi strutturali che vanno ben oltre la congiuntura. Il grido d’allarme è stato lanciato lunedì 18 marzo, con la presentazione del Global Outlook 2012 dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) presso il Palazzo Rondinini. Dall'assenza di una politica industriale chiara ai pochi investimenti in ricerca, passando per una catena decisionale farraginosa, i motivi per essere pessimisti sul futuro sono molti. Bisogna intervenire subito, sostituendo la politica cosiddetta del “Six Pack” con una nuova ondata di investimenti.
“Non si può dire che il 2012 sia stato un buon anno per l’economia mondiale”. L’analisi del Global Outlook inizia con queste parole. Ma le pagine del rapporto sparigliano subito rispetto alle conclusioni più scontate, perché – si spiega – non è solo colpa della congiuntura se l’Ue affonda. “Il problema fisiologico e strutturale dell’Europa non è legato alla crisi, ma al fatto che essa è sempre meno presente nelle “global value chains” e sembra non reggere il passo di altre regioni del mondo”. Ci sono, cioè, questioni strutturali che vanno ben oltre il tracollo dell’economia mondiale.
Andrea Renda, direttore del Global Outlook, ne illustra qualcuna: “Sul fronte economico, ad esempio, si è pensato troppo alla concorrenza interna e poco alla politica industriale. Mentre i nostri competitors internazionali si sono regolati diversamente”. Il riferimento è alla Cina, che quest’anno è destinata a superare la spesa in ricerca e sviluppo dell’Ue. Ma anche agli Usa che, analizzando gli indicatori di propensione all'innovazione, ci sono davanti praticamente in tutto. Dai brevetti alla spesa in ricerca. Ad aggravare la situazione, poi, altri aspetti: una catena decisionale “complessa e a volte ridondante”, che avrebbe bisogno di una grossa revisione, e la frammentarietà del mercato europeo. Renda conclude l’intervento etichettando l’Italia come “il grande malato d’Europa” affetto da un sistema universitario in declino, dalla mancata valorizzazione di grandi e piccole imprese e dall’assenza di una governance compatta. Per guarirla vaglia l’ipotesi di possibili sinergie anche con paesi extra-europei come Turchia, paesi del Mediterraneo, Brasile e Russia.
La macchina comunitaria pare soffocata da alcuni limiti oggettivi. Come conferma indirettamente il ministro degli Affari europei, Enzo Moavero Milanesi, parlando della recente trattativa per le prospettive finanziarie 2014-2020. “Su un punto serve chiarezza. La richiesta della Commissione era di 1033 miliardi, il Consiglio si è fermato a 960. È una differenza di 73 miliardi, che però va spalmata su sette anni e su tutti i paesi membri. Non credo che dieci miliardi all’anno in più avrebbero potuto produrre un grande volano di crescita”.
I problemi, come sottolinea ancora l’outlook, sono altri: il basso livello di investimenti privati, con la quasi totale assenza di venture capital, la mancanza di giovani imprese innovative, le yollies, che altrove costituiscono il polmone della spinta economica, università in declino, che non attraggono studenti stranieri, mancanza di infrastrutture. Tutti difetti che, tra l’altro, in Italia si presentano in maniera ancora più accentuata.
Soprattutto in materia di governance, dal momento che – spiega il rapporto – “è emersa la necessità che l’Italia si doti di un’attività di governo più trasparente e “accountable”, assumendo obiettivi di competitività di medio-lungo periodo il più possibile misurabili nel tempo e intervenendo per ridurre i costi e i tempi della burocrazia per le nuove imprese e per quelle esistenti”.
A questo elenco di difetti italiani, il presidente di Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini ne aggiunge altri due. "Sono da citare il costo dell'energia elevatissimo e la montagna del debito pubblico". Due condizioni che zavorrano la nostra economia, rendendo difficile finanziare politiche industriali con denaro pubblico. "Senza dimenticare - aggiunge - la grande emergenza di questa fase: ridurre il cumulo dei pagamenti alle imprese. Un tema sul quale servirà una grande operazione verità" –e, proprio in coincidenza con il convegno dello IAI, arriva l’annuncio d’un’iniziativa della Commissione europea per sbloccare i pagamenti arretrati, una somma oscillante tra i 60 e i 100 miliardi di euro-. Non manca una nota positiva: la competitività del settore manifatturiero italiano nell’esportazione nonostante l’elevato costo del denaro e dell’energia, i soffocanti oneri burocratici e le gravi carenze infrastrutturali. Quanto sia strategica la questione dei pagamenti viene confermato anche dal presidente di Sace, Giovanni Castellaneta, che racconta: "Abbiamo da poco aperto una divisione che si occupa di factoring. E, nel giro di qualche mese, abbiamo dovuto far fronte a una vera esplosione di domande". Sia la gestione dei crediti tra privati che di quelli detenuti nei confronti della pubblica amministrazione rappresenta, in questa fase, un nervo scoperto.
Si differenziano nel coro due interventi più mirati: Riccardo Cristadoro, senior economist della Banca d’Italia, sembra schierarsi con coloro che ancora credono in un Paese che, puntando sulla meritocrazia, può crescere, e Pierfrancesco Gaggi, responsabile servizio relazioni internazionali Abi, invoca il bisogno di un meccanismo di vigilanza comune e più severo. Il ministro Inigo Lambertini, della direzione generale per la Promozione del Sistema Paese della Farnesina, insiste sul contributo che la diplomazia può dare all’imprenditoria nella sfida della globalizzazione.
Per provare a uscire da questo circolo vizioso, il rapporto fornisce alcuni consigli, che Renda sintetizza con una battuta: “Non basta il “six pack”, bisogna essere smart”. Non sono, allora, sufficienti i vincoli di austerità imposti dall’Europa con i suoi ripetuti interventi, servono azioni altrettanto decise anche sulle infrastrutture, sull’istruzione scolastica e universitaria, sulle biotecnologie e la ricerca e sulle politiche di sviluppo.
Il motivo di queste priorità di intervento viene spiegato da Alessandro Pansa, amministratore delegato di Finmeccanica: “L’Europa, e l’Occidente in generale, ha perso la sua battaglia sul fronte del lavoro e su quello del capitale. Gli resta solo la tecnologia: attualmente abbiamo un vantaggio di dieci anni rispetto al resto del mondo. Questo vantaggio va consolidato con investimenti in innovazione, per evitare che si assottigli con il passare del tempo”.
L’incontro si chiude con una nota incoraggiante per gli spettatori: Antonio Tajani, Vicepresidente della Commissione europea e Commissario responsabile di Industria e imprenditoria, portavoce bruxellese dell’ansiosa attesa per la nascita di un governo italiano “che sappia fare”, sottolinea la necessità di dover puntare sulla terza rivoluzione industriale, dopo quelle del vapore e del petrolio: quella delle energie pulite.
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